ciack, si beve caffè

Le arti visive e soprattutto il cinema, il “grande schermo” ha, in più di una occasione, celebrato il caffè con tutti gli onori del caso.

Tra le scene più iconiche quella che vede protagonista la celebre Audrey Hepburn a contemplare le vetrine di Tiffany a New York con in mano un caffè americano e una brioche (Colazione da Tiffany, 1961), per continuare con uno dei film francesi più famosi, dove il personaggio di Audrey Tautou lavora in un caffè parigino (Il Favoloso Mondo di Amely, 2001), fino ad arrivare al celebre film con Roberto Benigni, dove c’è una scena in cui i protagonisti siedono ad un tavolo sorseggiando caffè e dialogando su due temi principali: caffè e sigarette (Coffee and Cigarettes, 2004). Senza dimenticare La Sfida (1995), Pulp Ficion (1994), Kill Bill Vol.1 (2003), C’era una volta in America (1984) e numerose altre pellicole che hanno immortalato il caffè a livello mondiale.

Nondimeno ha fatto il cinema italiano con una relazione lunga e appassionata, vere e proprie scene “cult”, che hanno fatto la storia del “grande schermo” di casa nostra.

Se il caffè è parte integrante del nostro essere “Italiani”, accompagnando i riti di accoglienza, i gesti d’amore e di convivialità, la cinematografia tricolore non poteva non riflettere il senso di questa passione incondizionata. Perciò, come non ricordare Eduardo De Filippo, che – in una commedia teatrale, poi diventata televisiva, ispiratrice dell’omonimo film – a tutto può rinunciare tranne “che a questa tazzina di caffè presa sul terrazzino cu ‘nu poc’e sole”, tra i piccoli grandi segreti del perfetto caffè napoletano (Questi Fantasmi! 1946); come non tornare agli anni ’50 di Totò Peppino De Filippo, dove una lezione di “economia spicciola sul capitalismo” vive nel rapporto tra caffè e zucchero (La Banda degli Onesti1956) e non citare Marcello Mastroianni (Divorzio all’Italiana, 1961) alle prese con una moglie innamorata e non corrisposta, che cerca di ingraziarsi il marito, servendogli ogni mattina il caffè nella sua stanza? Arrivano poi gli anni ’80 quando Nanni Loy dedica un film ad un invalido napoletano, Nino Manfredi, che cerca di sbarcare il lunario vendendo abusivamente caffè sui treni (Cafè Express, 1980).

Una strada “aperta”, che porta il cinema italiano fino al Premio Oscar attribuito alla storia di un gruppo di soldati italiani, sperduti su un’isola greca e diretti dal regista Gabriele Salvatores, dove uno dei protagonisti, Claudio Bisio, beve un caffè greco lamentandosi del gusto (Mediterraneo, 1991).